Per orientare la nostra preghiera

 

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 12, 13-21)

In quel tempo, uno della folla disse a Gesù: «Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità». Ma egli rispose: «O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?».
E disse loro: «Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede».
Poi disse loro una parabola: «La campagna di un uomo ricco aveva dato un raccolto abbondante. Egli ragionava tra sé: “Che farò, poiché non ho dove mettere i miei raccolti? Farò così – disse –: demolirò i miei magazzini e ne costruirò altri più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; ripòsati, mangia, bevi e divèrtiti!”. Ma Dio gli disse: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?”. Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio».

 

Parola di Dio

 

Preghiamo

 

Perché il Signore ci liberi dall’ansia dei beni terreni, dalla cupidigia del possesso e dall’egoismo e ci insegni a ricercare la felicità che viene dall’accoglierlo nella nostra vita, preghiamo.

 

Per Papa Francesco e per le folle di questo mondo perché possano incontrare il Vangelo e con esso un senso pieno della vita, preghiamo

 

Perché la grazia di Dio converta il cuore degli uomini, ci renda tutti più attenti al prossimo e disposti nella carità alla condivisione dei nostri beni, preghiamo.

 

Perché siano guarite le ferite della guerra di cui soffrono molti paesi e perché la pace venga presto in Ucraina, come nel Nord del Mozambico, in sud Sudan, in Yemen e ovunque, preghiamo.

 

 

Per nutrire il nostro cuore

 

La cupidigia non si sazia  mai

Un tale si alza tra la folla e chiede a Gesù di dirimere una questione giuridica circa l’eredità di famiglia. Ma Egli nella risposta non affronta la questione, ed esorta a rimanere lontano dalla cupidigia, cioè dall’avidità di possedere. Per distogliere i suoi ascoltatori da questa ricerca affannosa della ricchezza, Gesù racconta la parabola del ricco stolto, che crede di essere felice perché ha avuto la fortuna di una annata eccezionale e si sente sicuro per i beni accumulati. Sarà bello che oggi voi la leggiate; è nel
capitolo dodicesimo di San Luca, versetto 13. È una bella parabola che ci insegna tanto. Il racconto entra nel vivo quando emerge la contrapposizione tra quanto il ricco progetta per se stesso e quanto invece Dio gli prospetta. Il ricco mette davanti alla sua anima, cioè a se stesso, tre considerazioni: i molti beni ammassati, i molti anni che questi beni sembrano assicurargli e terzo, la tranquillità e il benessere sfrenato (cfr v.19). Ma la parola che Dio gli rivolge annulla questi suoi progetti. Invece dei «molti anni», Dio indica l’immediatezza di «questa notte; stanotte morirai»; al posto del «godimento della vita» Gli presenta il «rendere la vita; renderai la vita a Dio», con il conseguente giudizio. Per quanto riguarda la realtà dei molti beni accumulati su cui il ricco doveva fondare tutto, essa viene ricoperta dal sarcasmo della domanda: «E quello che ha preparato, di chi sarà?» (v.20). (…)

Egli è stolto perché nella prassi ha rinnegato Dio, non ha fatto i conti con Lui. La conclusione della parabola, formulata dall’evangelista, è di singolare efficacia: «Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio» (v.21). È un ammonimento che rivela l’orizzonte verso cui tutti noi siamo chiamati a guardare. I beni materiali sono necessari – sono beni! -, ma sono un mezzo per vivere onestamente e nella condivisone con i più bisognosi. Gesù oggi ci invita a considerare che le ricchezze possono incatenare il cuore e distoglierlo dal vero tesoro che è nei cieli. Ce lo ricorda anche San Paolo. Dice così: «Cercate le cose di lassù. … rivolgete il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra» (Col 3, 1-2). Questo – si capisce – non vuol dire estraniarsi dalla realtà, ma cercare le cose che hanno un vero valore: la giustizia, la solidarietà, l’accoglienza, la fraternità, la pace, tutte cose che costituiscono la vera dignità dell’uomo. Si tratta di tendere ad una vita realizzata non secondo lo stile mondano, bensì secondo lo stile evangelico: amare Dio con tutto il nostro essere, e amare il prossimo come lo ha amato Gesù, cioè nel servizio e nel dono di sé. La cupidigia dei beni, la voglia di avere beni, non sazia il cuore, anzi provoca di più fame! La cupidigia è come quelle buone caramelle: tu ne prendi una e dice: “Ah! Che buona”, e poi prendi l’altra; e una tira l’altra. Così è la cupidigia: non si sazia mai. State attenti! L’amore così inteso e vissuto è la fonte della vera felicità, mentre la ricerca smisurata dei beni materiali e delle ricchezze è spesso sorgente di inquietudine, di avversità, di prevaricazioni, di guerre. Tante guerre incominciano per la cupidigia.
La Vergine Maria ci aiuti a non lasciarci affascinare dalle sicurezze che passano, ma ad essere ogni giorno credibili testimoni dei valori eterni del Vangelo.

(Papa Francesco, Angelus Domenica 4 agosto 2019)

 

La tentazione della prosperità

La tentazione è di due specie. A volte le avversità provano il cuore come l’oro nella fornace (cf. Sap 3,6), quando attraverso la pazienza ne mettono in luce tutta la bontà; a volte, e non di rado, la prosperità della vita tiene per alcuni il posto della tentazione. È ugualmente difficile, infatti, conservare nelle avversità un animo nobile e guardarsi da un abuso nella prosperità. Della prima tentazione è modello Giobbe, quel grande atleta che sostenendo con animo indomito l`impeto scrosciante del diavolo, fu tanto piú grande della tentazione, quanto piú grandi e quasi inestricabili furono le prove a lui inflitte dal nemico. Esempio della tentazione che nasce dalla prosperità è quel ricco che, avendo già molte ricchezze, ne sognava ancora delle altre; ma il buon Dio a principio non lo condannò per la sua ingratitudine, anzi, lo favorí con sempre nuove  ricchezze, in attesa che il suo animo si volgesse una buona volta alla generosità e alla mansuetudine. Ma: “Il campo del ricco portò frutti abbondanti ed egli andava pensando: Che farò? Demolirò i miei granai e ne farò di più grandi” (Lc 12,16-18). Perché fu fertile il campo di quell’uomo, che non avrebbe fatto nulla di buono con quella
ricchezza? Certo perché risplendesse di più l’indulgenza di Dio, la cui bontà si estende anche a costoro, poiché: “fa piovere sui giusti e sui malvagi e fa che il sole nasca per i buoni e per i cattivi” (Mt 5,45). Ma questa bontà di Dio accresce poi la pena contro i malvagi. Dio mandò la pioggia sulla terra coltivata con mani avare, diede il sole per riscaldare i semi e moltiplicare i frutti. Da Dio viene la terra buona, il clima temperato, la fecondità dei semi, l`opera dei buoi che sono i mezzi della ricchezza dei campi. Ma qual è stata la reazione dell`uomo? Modi amari, odio, scarsezza nel dare. Questo era il ricambio a tanta magnificenza ricevuta. Non si ricordò dei suoi simili, non pensò che il superfluo dovesse essere distribuito agli indigenti, non fece nessun conto del comando: “Non ti stancare di dare al bisognoso” (Pr 3,27) e: “Spezza il tuo pane con chi ha fame” (Pr 3,3). Non sentiva la voce dei profeti, i suoi granai scoppiavano da ogni parte, ma il suo cuore avaro non era sazio. Aggiungendosi sempre nuovi prodotti ai
vecchi, finí in questa inestricabile povertà di mente, che l`avarizia non gli consentiva di sottrarre ciò che superava e non aveva magazzini ove deporre la nuova ricchezza. Perciò non trova una soluzione, è affannato. “Cosa farò?” È infelice per la fertilità dei suoi campi, per quello che ha, piú infelice per quello che aspetta. La terra a lui non produce dei beni, gli porta sospiri; non gli accresce abbondanza di frutti, gli porta preoccupazioni, pene, ansietà. Si lamenta come i poveri. Il suo grido cosa farò? non è il medesimo che emette l`indigente? Dove troverò il cibo, il vestito? Il ricco fa lo stesso lamento. È afflitto. Ciò che porta gioia agli altri, uccide lui. Non si rallegra, quando i granai son tutti pieni; le ricchezze sovrabbondanti e incontenibili lo feriscono; ha paura che qualche goccia, che n`esca, sia motivo di sollievo a un indigente.

(Basilio di Cesarea, In illud «Destruam», 1

 

Giusto uso delle ricchezze

“Guai a voi ricchi, che avete già la vostra consolazione!” (Lc 6,24). Sebbene l`abbondanza delle ricchezze rechi con sé molté sollecitazioni al male, si trovano tuttavia in esse anche inviti alla virtù. Ma senza dubbio la virtù non ha bisogno di sussidi e l`offerta del povero è certamente piú degna di lode che la generosità del ricco. Comunque, coloro che vengono condannati dall`autorità della sentenza di Cristo non sono coloro che possiedono le ricchezze, ma coloro che non sanno usarle bene. Infatti, come il
povero è piú degno di lode quando dona di buon animo e non si lascia fermare dalla minaccia della miseria, poiché non si ritiene povero se ha quello che basta alla sua condizione, cosí tanto piú degno di rimprovero è il ricco che dovrebbe, almeno, rendere grazie a Dio di tutto quello che ha ricevuto, non tener nascosto e inutilizzato quanto ha avuto per l`utilità di tutti, e non covare i suoi tesori seppellendoli sotto terra. Non è dunque la ricchezza che è condannata, ma l`attaccamento ad essa. Ebbene,  quantunque l`avaro per tutta la vita faccia la guardia inquieta, un gravoso servizio di sentinella – pensa questa che non trova l`eguale -, per conservare, in un continuo e angoscioso timore di perderlo, ciò che servirà ai piaceri degli eredi, tuttavia, dato che le preoccupazioni dell`avarizia e il desiderio di ammassare si nutrono di una sorta di vana felicità, chi ha avuto la sua consolazione in questa vita presente, ha perduto la ricompensa eterna.

(Sant’Ambrogio, In Luc., 5, 69)

 

Ricchezza e Provvidenza

Tra fratelli non deve intromettersi un giudice, ma deve l`affetto reciproco decidere sulla ripartizione del loro patrimonio. D`altra parte, non è il patrimonio del denaro, ma quello dell`immortalità che si deve cercare; è vano infatti ammassare ricchezze senza sapere di poterne usare, come colui che, poiché i suoi granai ricolmi crollavano sotto il peso delle nuove messi, preparava magazzini per questa sovrabbondanza di raccolti, senza sapere per chi accumulava (cf. Lc 12,16-21). Resta nel mondo tutto quanto è del mondo, e ci vediamo sfuggire tutto quanto accumuliamo per i nostri eredi: infatti non è nostro ciò che non possiamo portare con noi. Solo la virtù accompagna i morti, ci segue solo la misericordia che, conducendoci e precedendoci nelle dimore del cielo, acquista per i morti, a prezzo di vil denaro, la dimora eterna, come testimoniano i precetti del Signore che ci dice: “Fatevi degli amici con le ricchezze d`iniquità, affinché essi vi accolgano nei loro padiglioni eterni” (Lc 16,9). Ecco dunque un precetto buono, salutare, capace di spingere anche gli avari a scambiare le ricchezze effimere con quelle eterne, ciò che è terrestre con ciò che è divino.

(Sant’Ambrogio, In Luc., 7, 122)

 

 

Seguiamo il Verbo, cerchiamo quel riposo

«Non si vanti il saggio della sua saggezza, né il ricco delle sue ricchezze né il forte della sua forza» (Ger 9,23), anche se fossero giunti al sommo fastigio della sapienza, della ricchezza o della potenza, lo poi aggiungerò cose simili a queste: chi è famoso e celebre non si esalti per la sua gloria; né chi gode ottima salute per la sanità; né chi è bello per la sua avvenenza ; né chi è giovane per l’età giovanile; in una parola, non vi sia nessun superbo o vanitoso che si glori in quelle cose che in questo mondo sono lodate;
chi si vanta invece, si vanti di questa sola cosa: di conoscere e cercare Dio; e compiangendo la sorte degli sventurati, metta in serbo un po’ di bene per la vita futura. Tutte le altre cose sono caduche e fragili, e, come in un gioco di sassolini, vengono gettate e trasferite dall’uno all’altro; così niente appartiene in proprio a chi lo possiede, che non debba consumarsi con l’andar del tempo, o trasferirsi ad altri con dispiacere. Quelle invece sono realtà sicure e stabili, che non vengono a mancare, né si dissolvono; la
speranza di chi pone in esse la propria fiducia, non viene frustrata. Mi sembra inoltre che proprio perché nessun bene su questa terra è stabile e duraturo, e qualunque altra cosa fatta saggiamente dal Verbo creatore e da quella Sapienza che supera ogni mente ci lascia delusi, e vediamo le cose mutarsi ora in un senso ora in un altro, ora trasportate in alto ora in basso o addirittura rovesciate, e prima di averle in mano sono già allontanate e sfuggite: proprio per questo, dico, vista la loro instabilità e variabilità, siamo spinti a dirigerci verso il porto della vita futura. Che cosa avremmo fatto se il benessere fosse per noi sicuro, mentre, benché fluttuante e fragile, vi siamo attaccati come da catene e siamo ridotti dalla sua ingannevole cupidigia a tanta schiavitù, da non poter pensare che vi sia nulla di meglio e di più prezioso delle cose presenti? E tutto ciò mentre ascoltiamo e siamo convinti d’essere stati creati a immagine di quel Dio che è nei cieli e che ci attrae a sé, e di questo siamo persuasi? «Chi è saggio osservi queste cose e comprenderà» (Sal 106,43). Chi trascurerà le cose passeggere? Chi attenderà alle cose che non mutano? Chi considererà le cose presenti come se non ci fossero? Beato davvero chi, separando con la spada del Verbo ciò che è migliore dal cattivo, mettendo da parte e dividendo «decide nel suo cuore il santo viaggio» (Sal 83,6), come dice il beato Davide. E fuggendo con tutte le forze questa valle di lacrime, cerca i beni supremi; crocifisso con Cristo al mondo, con Cristo risorge e insieme con lui ascende, erede di una vita non transitoria né fallace, dove il serpente non morde più durante il cammino, né tende l’insidia al calcagno, essendo stata schiacciata la sua testa. Lo stesso beato Michea, osservando questo fatto e schernendo i rettili e quanti hanno soltanto l’apparenza del bene, esclama: «Venite, saliamo al monte del Signore. Su, andatevene, perché questo non è più luogo di riposo» (Mic 4,2; 2,10). Sono pressappoco le stesse parole, con cui ci esorta il nostro Signore e Salvatore: «Alzatevi, andiamo via di qui» (Gv 14,31). Così dicendo, trasferiva non solo i discepoli di quel tempo da quel luogo, come qualcuno forse potrebbe credere, ma staccava per sempre i suoi discepoli dalla terra e dai beni terreni per portarli verso il cielo e le cose celesti. Seguiamo dunque il Verbo, cerchiamo quel riposo; disprezziamo le ricchezze e le comodità di questa vita, arricchendoci soltanto di ciò che in esse vi è di buono; cioè salviamo le anime nostre con le elemosine, distribuendo le nostre ricchezze ai poveri per arricchirci dei beni celesti.

(San Gregorio Nazianzeno, Discorsi )