Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 6, 51-58)
In quel tempo, Gesù disse alla folla:
«Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».
Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?».
Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.
Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».
Parola del Signore
Preghiamo
Ti preghiamo Signore per tutti i piccoli, per tutti quelli costretti a lavorare per aiutare le proprie famiglie in condizioni di estrema povertà, per quanti sono sfruttati e in schiavitù, privati della loro infanzia, degli affetti e della serenità necessaria alla loro crescita. Proteggi la loro vita, allontana da loro ogni male e fa che trovino in te, Padre buono, amore e consolazione.
Ti preghiamo Signore per noi che spezziamo insieme il Pane della vita e ci dissetiamo al Calice della salvezza perché impariamo a condividere sempre con generosità il pane terreno e a soccorrere i poveri, gli affamati e coloro che sono nell’indigenza.
COVID 19 IN AFRICA; LA SITUAZIONE NEL CAMPO PROFUGHI DI DZALEKA IN MALAWI
Mentre in Italia la curva del contagio da Coronavirus continua ad essere contenuta, a livello globale la pandemia continua a diffondersi. Preoccupano le conseguenze che il virus può causare in paesi già feriti dalla povertà o dalla guerra. A livello globale, la maggior parte dei rifugiati trova accoglienza in campi profughi nei paesi in via di sviluppo e il Malawi, uno dei paesi più poveri del mondo, non fa eccezione
A pochi chilometri dalla capitale, Lilongwe, c’è lo Dzaleka Refugees Camp gestito da UNHCR, la sua apertura risale ad oltre 20 anni fa. Fu progettato e costruito per accogliere gli esuli causati dal conflitto mozambicano.
Dopo la pace in Mozambico, firmata a Roma nel 1992, ha continuato ad ospitare rifugiati provenienti da Burundi, Uganda, Rwanda, Eritrea ed Etiopia. Negli ultimi anni c’è stato un incremento delle persone in fuga dalla Repubblica Democratica del Congo.
Il numero di profughi è cresciuto in modo esponenziale, fino a raggiungere l’incredibile cifra di 47.000 persone che vivono in uno spazio pensato per un massimo di 10.000.
La vita nel campo è un tempo sospeso, non si può uscire senza un valido motivo ed è necessaria un’autorizzazione scritta. Si vive alla giornata nella speranza di “vincere il golden ticket”: essere prescelti per il reinsediamento con l’opportunità di ricominciare una nuova vita in un altro paese, Canada, Stati Uniti o Australia. Un’attesa che può durare anche molti anni.
Con la diffusione del Covid-19 la situazione è, se possibile, ancora più critica. Nel campo è quasi impossibile mantenere le distanze di sicurezza e mettere in atto le misure di precauzione necessarie. Ad oggi sono stati confermati 4 casi positivi.
L’UNCHR, in risposta ai rischi della pandemia, sta valutando di trasferire parte dei rifugiati in un nuovo campo per provare a decongestionare la densità di presenze.
Venerati Fratelli, Figli carissimi (…) l’Eucaristia è anzitutto Comunione con Cristo, Dio da Dio, Luce da Luce, Amore da Amore, vivo, vero, sostanzialmente e sacramentalmente presente, Agnello immolato per la nostra salvezza, manna ristoratrice per la vita eterna, Amico, Fratello, Sposo, misteriosamente nascosto e abbassato sotto la semplicità delle apparenze, eppur glorioso nella sua vita di risorto, che vivifica comunicandoci i frutti del Mistero pasquale. Oh, non avremo mai meditato abbastanza sulla ricchezza, che ci apre questa intima comunione di fede, di amore, di volontà, di pensieri, di sentimenti, con Cristo Eucaristico.
(…) Se l’Eucaristia è un grande mistero, che la mente non comprende, possiamo almeno capire l’amore, che vi risplende con una fiamma segreta, consumante. Possiamo riflettere all’intimità che Gesù vuol avere con ognuno di noi; è la sua promessa, sono le sue parole, quelle che la Liturgia ci ha ripetuto oggi: «Chi mangia la mia Carne e beve il mio Sangue, rimane in me e io in lui . . . Chi mangia me, anch’egli vivrà per me: vivet propter me». Egli è il Pane di vita eterna, per noi pellegrini in questo mondo, che per suo mezzo siamo già trasportati e immessi dal flusso rapido del tempo alla sponda dell’eternità.
Comunione con Cristo, dunque, l’Eucaristia, come sacramento e come sacrificio: ma anche comunione tra di noi fratelli, con la comunità, con la Chiesa: ed è ancora la Rivelazione a dircelo, con le parole di Paolo: «Dal momento che vi è un solo pane, noi, che siamo molti, formiamo un solo corpo; poiché noi tutti partecipiamo di questo unico pane» (1 Cor. 10, m). Il Concilio Ecumenico Vaticano II ha messo profondamente in luce questa realtà, quando ha chiamato l’Eucaristia «convito di comunione fraterna» (Gaudium et spes, 38); quando ha detto che i cristiani, «cibandosi del corpo di Cristo nella santa Comunione, mostrano concretamente l’unità del Popolo di Dio, che da questo augustissimo sacramento è adeguatamente espressa e mirabilmente effettuata» (Lumen Gentium, 11).
(…) L’amore che parte dall’Eucaristia è un amore irradiante: ha un riflesso nella fusione dei cuori, nell’affetto, nell’unione, nel perdono; ci fa capire che bisogna spendersi per i bisogni altrui, per i piccoli, per i poveri, per i malati, per i prigionieri, per gli esuli, per i sofferenti. Questa carità guarda anche ai fratelli lontani, ai quali l’unità non ancora perfetta con la Chiesa cattolica non permette di assidersi alla stessa tavola con noi, e ci fa pregare che se ne affretti il momento. Questa «comunione» ha anche un riflesso sociale, perché spinge alla mutua solidarietà, alle opere di carità, alla comprensione reciproca, all’apostolato: sia nella Chiesa, «il cui bene comune spirituale è sostanzialmente contenuto nel sacramento dell’Eucaristia» (S. Tommaso), sia tra di noi, che, comunicando insieme al Pane di vita, diventiamo «il Corpo di Cristo: non molti, ma un solo corpo», e così restiamo uniti vicendevolmente e con Cristo nel Sacramento (S. Giovanni Crisostomo) e operiamo il nostro bene, che è «l’affetto, l’amore fraterno, l’essere congiunti e legati insieme, in una vita che trascorre nella pace e nella mansuetudine».
(San Paolo VI, Omelia per il Sacro Rito nel giorno del Corpus Domini, Giovedì, 5 giugno 1969)