Per orientare la nostra preghiera

 

Dal Vangelo secondo Marco (Mc 10, 35-45)

In quel tempo, si avvicinarono a Gesù Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedèo, dicendogli: «Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo». Egli disse loro: «Che cosa volete che io faccia per voi?». Gli risposero: «Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra».
Gesù disse loro: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato?». Gli risposero: «Lo possiamo». E Gesù disse loro: «Il calice che io bevo, anche voi lo berrete, e nel battesimo in cui io sono battezzato anche voi sarete battezzati. Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato».
Gli altri dieci, avendo sentito, cominciarono a indignarsi con Giacomo e Giovanni. Allora Gesù li chiamò a sé e disse loro: «Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».

Parola del Signore

 

 

Preghiamo

 

Perché Gesù che è stato servo di tutti rinnovi i nostri cuori e ci doni la forza e la sapienza per seguire il suo esempio. Preghiamo

 

Perché nel volto dei nostri fratelli più poveri scorgiamo quello di Gesù, da amare e da servire. Preghiamo

 

Perché il dolore della guerra che si abbatte sulla vita di tanti popoli non ci lasci mai indifferenti e sappiamo presentare al Signore l’incessante invocazione della Pace. Per la fine della Pandemia. Preghiamo

 

Perché l’intolleranza, il razzismo, e l’odio siano estirpati dalle nostre società. Per i nostri fratelli ebrei con cui facciamo memoria a Roma della tragica deportazione del 16 ottobre 1943, perché sia vinta ogni forma di antisemitismo e insieme si costruisca una società della convivenza pacifica, dove nessuno è escluso o discriminato Preghiamo

 

 

 

 

Per nutrire il nostro cuore

 

Concittadini degli angeli

 

Ogni uomo desidera cose sublimi. Ma sulla terra che c’è di sublime? Se dunque desideri cose sublimi, il cielo desidera, le cose celesti desidera, desidera le cose sopracelesti. Brama di essere concittadino degli angeli, anela verso quella città, verso di essa sospira là dove non perderai l’amico e non dovrai soffrire il nemico […] Se tu brami di essere lassù, veramente aspiri a cose sublimi. Questo è il dove; ma considera anche il come. Perché non c’è nessuno che non ami di essere concittadino degli angeli, di godere in Dio, di Dio, sotto Dio, di restare per sempre, di non essere afflitto da nessuna piaga, raggiunto da nessuna vecchiezza, debilitato da nessuna stanchezza, consumato da nessuna malattia e da nessuna morte. Grande cosa, sublime cosa, desiderabile cosa. Tu desideri di arrivarci; ma guarda per dove ci si arriva.

Ecco, quei due discepoli di nostro Signore, i santi e grandi fratelli Giacomo e Giovanni, figli di Zebedeo, come abbiamo letto nel Vangelo, desiderarono dal Signore Dio nostro di poter sedere nel regno uno alla destra e l’altro alla sinistra. Essi dunque non desiderarono di esser dei re sulla terra, non ambirono dal Signore Iddio onori caduchi, non di essere ornati di ricchezze, non di aver una famiglia gloriosa, non di essere onorati di clientela, non di essere ingannati da adulatori, ma chiesero veramente qualcosa di grande e di solido, cioè di avere dei seggi nel regno di Dio, in cui si rimane per sempre. E’ grande cosa quella che desiderarono, e essi non vengono rimproverati per il desiderio, ma vengono richiamati nell’ordine. In essi il Signore vide il desiderio delle cose grandi e colse l’occasione per insegnare la via dell’umiltà; come se dicesse: “Vedete dove voi aspirate, vedete chi sono io per voi: io che vi ho fatto sono disceso fino a voi, per voi io mi sono umiliato” […] Quando dunque il Signore ebbe ascoltato il loro desiderio, disse loro: Voi potete bere il calice che io sto per bere? Voi desiderate di sedere al mio fianco; prima rispondetemi su quanto vi chiedo: Potete bere il calice che io sto per bere? Voi che cercate dei seggi cosi sublimi, non sarà per voi amaro il calice dell’umiltà?

Però quando il precetto è pesante, grande ne è la ricompensa. Gli uomini non vogliono, non vogliono bere il calice della passione, il calice dell’umiliazione. Desiderano cose sublimi? Amino quelle umili. Per salire in alto bisogna infatti partire dal basso. Nessuno può costruire una fabbrica alta se prima non ha impiantato in basso le fondamenta. Considerate tutte queste cose, fratelli miei, e da qui partite, da qui costruitevi nella fede, per capire la strada per la quale potrete arrivare dove desiderate […] Gli alberi quanto più sono alti, tanto più hanno in basso le radici; perché tutto ciò che è alto, parte sempre dal basso. Tu, uomo, avevi paura di affrontare l’oltraggio dell’umiliazione. Ma è utile per te bere il calice così amaro della passione. Le tue viscere sono tumide, il petto ti si è gonfiato. Bevi l’amaro per ritrovare la salute. Lo beve anche il medico sano; non vorrà berlo il malato indebolito? Così infatti disse ai figli di Zebedeo: Potete bere il calice? Però non disse: “Potete bere il calice degli oltraggi, il calice del fiele, il calice dell’aceto, il calice delle amarezze, il calice pieno di veleno, il calice di tutte le sofferenze?” Se avesse detto così, più che incoraggiarli li avrebbe spaventati. Ma dove c’è comunione, c’è consolazione. E allora che paura hai, o servo? Quel calice lo beve anche il Signore. Che paura hai, o infermo? Lo beve anche il medico. Che paura hai, o infiacchito? Lo beve anche il sano. Potete bere il calice che io sto per bere? E quelli, desiderosi di cose sublimi, ignari delle loro forze, promettendo cose che non avevano ancora, risposero: Lo possiamo. E Gesù: Bene. Il mio calice voi lo berrete, perché sono io che vi dono di berlo, io che da deboli rendo forti voi [che vi] credete forti, io che vi dono la grazia di poter sopportare, per bere il calice dell’umiliazione; però non sta me concedere che vi sediate alla mia destra o alla mia sinistra, ma è già preparato per altri dal Padre mio. Se per quelli no, per quali altri? Se non lo meritarono gli Apostoli, chi lo potrà meritare? Chi sono questi altri? […]

Gli umili, non i superbi E perciò anche voi, purché siate altri, purché cioè vi spogliate della vostra superbia e vi rivestite di umiltà.

(Sant’Agostino, Discorso 20/A, 5-8)

 

 

Il dovere della memoria

 

Ci sono cose che tutti vogliono dimenticare. Ma io no. Io della mia vita voglio ricordare tutto, anche quella terribile esperienza che si chiama Auschwitz: due anni in Polonia (e in Germania), due inverni, e in Polonia l’inverno è inverno sul serio, è un assassino.., anche se non è stato il freddo la cosa peggiore.

Tutto questo è parte della mia vita e soprattutto è parte della vita di tanti altri che dai Lager non sono usciti. E a queste persone io devo il ricordo: devo ricordare per raccontare anche la loro storia. L’ho giurato quando sono tornata a casa; e questo mio proposito si è rafforzato in tutti questi anni, specialmente ogni volta che qualcuno osa dire che tutto ciò non è mai accaduto, che non è vero.

Ho una buona memoria. E poi quei due anni li ho raccontati tante volte: ai giornalisti, alla televisione, ai politici, ai ragazzi delle scuole durante i molti viaggi che ho fatto per accompagnarli ad Auschwitz… anche se non sempre sono entrata nei particolari.

Ad Auschwitz si desidera tornare – anche molti di quei ragazzi lo desiderano – e a qualcuno sembra strano. Ma perchè? E’ come andare al cimitero a portare un fiore e una preghiera. – Raccontavo sul pullman che ci portava in Polonia. E’ sul pullman che si parla, quando si arriva ad Auschwitz parla la guida e parlano le cose. Le poche che sono rimaste. C’è un museo, ma i forni crematori, le camere a gas, le costruzioni in muratura sono state distrutte. La prima volta che ci sono tornata ho provato più delusione che emozione, non riconoscevo il posto.

In questi cinquant’anni trascorsi da allora sono stata spesso sollecitata a scrivere questo libro. 

E io lo volevo fare; ma c’erano ancora i parenti di quelle che sono rimaste là, i genitori, i fratelli, i mariti, i figli delle mie compagne del gruppo di lavoro. Quarantotto eravamo, e sono uscita viva soltanto io. Molte di loro le ho viste morire, di altre so che fine hanno fatto. Come raccontare a una madre, a un padre, che la loro figlia di vent’anni è morta di cancrena per le botte ricevute da una Kapò? Come descrivere la pazzia di alcune di quelle ragazze a coloro che le amavano? Adesso molti dei genitori, dei fratelli, dei mariti, non ci sono più; le ferite non sono più così fresche. A quelli che restano spero di non fare troppo male. Ma adesso devo mantenere la promessa che ho fatto a quarantasette ragazze che sono morte ad Auschwitz, le mie compagne di lavoro. E a tutti gli altri milioni di morti dei Lager nazisti.

Di quel gruppo faceva parte anche mia sorella Giuditta. Giuditta, così bella, così fragile, deportata assieme a me il 16 ottobre 1943. Giuditta, causa involontaria della cattura mia e della mia famiglia.

(Settimia Spizzichino, dal libro “Gli anni rubati”)

 

 

L`amore infinito di Dio

Non è dunque giusto che Dio ci respinga e ci castighi quando, offrendosi egli stesso a noi in tutto, noi lo respingiamo? Evidentemente sì. Se tu vuoi ornarti – egli dice – prendi il mio ornamento; se vuoi armarti, prendi le mie armi; se desideri vestirti, ecco la mia veste; se vuoi nutrirti, ecco la mia mensa; se intendi camminare, percorri la mia via; se desideri ereditare, ecco la mia eredità; se vuoi entrare in patria, entra nella città di cui io sono l`architetto e il costruttore; se pensi di costruirti una casa, edificala nei miei territori: io di certo, per quello che do, non ti chiedo pagamento. Anzi, per il fatto stesso che vuoi usare ciò che è mio, per questo io ti voglio ricompensare. Che cosa può essere paragonato a simile generosità? Ecco cosa dice il Signore: Io padre, io fratello, io sposo, io casa, io alimento, io vestito, io radice, io fondamento: io sono tutto ciò, se tu vuoi; di nulla tu mancherai. Io ti servirò anche, perché sono venuto “per servire, non per essere servito” (Mt 20,28). Io sarò anche amico, e membro, e capo, e fratello, e sorella, e madre, tutto io sarò; solo, comportati familiarmente con me. Io sono stato povero per te, mendico per te, sulla croce per te, nel sepolcro per te; in cielo io supplico il Padre per te; in terra sono venuto ambasciatore per te da parte del Padre. Tutto tu sei per me: fratello, coerede, amico, membro. Che cosa vuoi di più? Perché respingi chi ti ama così?

(San Giovanni Crisostomo, Comment. in Matth., 76, 5)

 

 

 

Il Vangelo della Domenica

 

 

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