Per orientare la nostra preghiera

 

Dal Vangelo secondo Marco (Mc 4, 35-41)

In quel giorno, venuta la sera, Gesù disse ai suoi discepoli: «Passiamo all’altra riva». E, congedata la folla, lo presero con sé, così com’era, nella barca. C’erano anche altre barche con lui.

Ci fu una grande tempesta di vento e le onde si rovesciavano nella barca, tanto che ormai era piena. Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva. Allora lo svegliarono e gli dissero: «Maestro, non t’importa che siamo perduti?».
Si destò, minacciò il vento e disse al mare: «Taci, calmati!». Il vento cessò e ci fu grande bonaccia. Poi disse loro: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?».
E furono presi da grande timore e si dicevano l’un l’altro: «Chi è dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?».

Parola del Signore

 

 

Preghiamo

 

 

Nella Giornata Mondiale del Rifugiato ti preghiamo Signore per tutti gli scomparsi in mare negli ultimi anni, per tutti coloro che hanno perso la vita cercando un futuro migliore per sé e per la propria famiglia, per i profughi approdati dopo tante sofferenze nel nostro paese e perché chi fugge dalla guerra e dalla fame trovi accoglienza.

Preghiamo

 

Per il nostro vescovo Papa Francesco e per tutta la Chiesa, perché anche in mezzo alle tempeste della storia, prosegua sicura il suo cammino, salda nella fede, pronta nella misericordia e nell’accoglienza ai più poveri.

Preghiamo

 

Per tutti coloro che, nelle tempeste della vita, oppressi da sofferenze fisiche e spirituali, conoscono la fragilità della fede e il venir meno della speranza. Che il Signore doni a tutti consolazione.

Preghiamo

 

Perché il Signore guidi l’umanità al porto sicuro della pace che chiediamo per ogni paese in guerra e per la vita di chi è minacciato dalla violenza.

Preghiamo.

 

 

 

 

Per nutrire il nostro cuore

 

 

Su questa barca… ci siamo tutti

 

«Venuta la sera» (Mc 4,35). Così inizia il Vangelo che abbiamo ascoltato. Da settimane sembra che sia scesa la sera. Fitte tenebre si sono addensate sulle nostre piazze, strade e città; si sono impadronite delle nostre vite riempiendo tutto di un silenzio assordante e di un vuoto desolante, che paralizza ogni cosa al suo passaggio: si sente nell’aria, si avverte nei gesti, lo dicono gli sguardi. Ci siamo trovati impauriti e smarriti. Come i discepoli del Vangelo siamo stati presi alla sprovvista da una tempesta inaspettata e furiosa. Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda. Su questa barca… ci siamo tutti. Come quei discepoli, che parlano a una sola voce e nell’angoscia dicono: «Siamo perduti» (v. 38), così anche noi ci siamo accorti che non possiamo andare avanti ciascuno per conto suo, ma solo insieme.

È facile ritrovarci in questo racconto. Quello che risulta difficile è capire l’atteggiamento di Gesù. Mentre i discepoli sono naturalmente allarmati e disperati, Egli sta a poppa, proprio nella parte della barca che per prima va a fondo. E che cosa fa? Nonostante il trambusto, dorme sereno, fiducioso nel Padre – è l’unica volta in cui nel Vangelo vediamo Gesù che dorme –. Quando poi viene svegliato, dopo aver calmato il vento e le acque, si rivolge ai discepoli in tono di rimprovero: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?» (v. 40).

Cerchiamo di comprendere. In che cosa consiste la mancanza di fede dei discepoli, che si contrappone alla fiducia di Gesù? Essi non avevano smesso di credere in Lui, infatti lo invocano. Ma vediamo come lo invocano: «Maestro, non t’importa che siamo perduti?» (v. 38). Non t’importa: pensano che Gesù si disinteressi di loro, che non si curi di loro. Tra di noi, nelle nostre famiglie, una delle cose che fa più male è quando ci sentiamo dire: “Non t’importa di me?”. È una frase che ferisce e scatena tempeste nel cuore. Avrà scosso anche Gesù. Perché a nessuno più che a Lui importa di noi. Infatti, una volta invocato, salva i suoi discepoli sfiduciati.

La tempesta smaschera la nostra vulnerabilità e lascia scoperte quelle false e superflue sicurezze con cui abbiamo costruito le nostre agende, i nostri progetti, le nostre abitudini e priorità. Ci dimostra come abbiamo lasciato addormentato e abbandonato ciò che alimenta, sostiene e dà forza alla nostra vita e alla nostra comunità. La tempesta pone allo scoperto tutti i propositi di “imballare” e dimenticare ciò che ha nutrito l’anima dei nostri popoli; tutti quei tentativi di anestetizzare con abitudini apparentemente “salvatrici”, incapaci di fare appello alle nostre radici e di evocare la memoria dei nostri anziani, privandoci così dell’immunità necessaria per far fronte all’avversità.

Con la tempesta, è caduto il trucco di quegli stereotipi con cui mascheravamo i nostri “ego” sempre preoccupati della propria immagine; ed è rimasta scoperta, ancora una volta, quella (benedetta) appartenenza comune alla quale non possiamo sottrarci: l’appartenenza come fratelli.

«Perché avete paura? Non avete ancora fede?». Signore, la tua Parola stasera ci colpisce e ci riguarda, tutti. In questo nostro mondo, che Tu ami più di noi, siamo andati avanti a tutta velocità, sentendoci forti e capaci in tutto. Avidi di guadagno, ci siamo lasciati assorbire dalle cose e frastornare dalla fretta. Non ci siamo fermati davanti ai tuoi richiami, non ci siamo ridestati di fronte a guerre e ingiustizie planetarie, non abbiamo ascoltato il grido dei poveri, e del nostro pianeta gravemente malato. Abbiamo proseguito imperterriti, pensando di rimanere sempre sani in un mondo malato. Ora, mentre stiamo in mare agitato, ti imploriamo: “Svegliati Signore!”.

«Perché avete paura? Non avete ancora fede?». Signore, ci rivolgi un appello, un appello alla fede. Che non è tanto credere che Tu esista, ma venire a Te e fidarsi di Te. In questa Quaresima risuona il tuo appello urgente: “Convertitevi”, «ritornate a me con tutto il cuore» (Gl 2,12). Ci chiami a cogliere questo tempo di prova come un tempo di scelta. Non è il tempo del tuo giudizio, ma del nostro giudizio: il tempo di scegliere che cosa conta e che cosa passa, di separare ciò che è necessario da ciò che non lo è. È il tempo di reimpostare la rotta della vita verso di Te, Signore, e verso gli altri. E possiamo guardare a tanti compagni di viaggio esemplari, che, nella paura, hanno reagito donando la propria vita. È la forza operante dello Spirito riversata e plasmata in coraggiose e generose dedizioni. È la vita dello Spirito capace di riscattare, di valorizzare e di mostrare come le nostre vite sono tessute e sostenute da persone comuni – solitamente dimenticate – che non compaiono nei titoli dei giornali e delle riviste né nelle grandi passerelle dell’ultimo show ma, senza dubbio, stanno scrivendo oggi gli avvenimenti decisivi della nostra storia: medici, infermiere e infermieri, addetti dei supermercati, addetti alle pulizie, badanti, trasportatori, forze dell’ordine, volontari, sacerdoti, religiose e tanti ma tanti altri che hanno compreso che nessuno si salva da solo. Davanti alla sofferenza, dove si misura il vero sviluppo dei nostri popoli, scopriamo e sperimentiamo la preghiera sacerdotale di Gesù: «che tutti siano una cosa sola» (Gv 17,21). Quanta gente esercita ogni giorno pazienza e infonde speranza, avendo cura di non seminare panico ma corresponsabilità. Quanti padri, madri, nonni e nonne, insegnanti mostrano ai nostri bambini, con gesti piccoli e quotidiani, come affrontare e attraversare una crisi riadattando abitudini, alzando gli sguardi e stimolando la preghiera. Quante persone pregano, offrono e intercedono per il bene di tutti. La preghiera e il servizio silenzioso: sono le nostre armi vincenti.

«Perché avete paura? Non avete ancora fede?». L’inizio della fede è saperci bisognosi di salvezza. Non siamo autosufficienti, da soli; da soli affondiamo: abbiamo bisogno del Signore come gli antichi naviganti delle stelle. Invitiamo Gesù nelle barche delle nostre vite. Consegniamogli le nostre paure, perché Lui le vinca. Come i discepoli sperimenteremo che, con Lui a bordo, non si fa naufragio. Perché questa è la forza di Dio: volgere al bene tutto quello che ci capita, anche le cose brutte. Egli porta il sereno nelle nostre tempeste, perché con Dio la vita non muore mai.

Il Signore ci interpella e, in mezzo alla nostra tempesta, ci invita a risvegliare e attivare la solidarietà e la speranza capaci di dare solidità, sostegno e significato a queste ore in cui tutto sembra naufragare. Il Signore si risveglia per risvegliare e ravvivare la nostra fede pasquale. Abbiamo un’ancora: nella sua croce siamo stati salvati. Abbiamo un timone: nella sua croce siamo stati riscattati. Abbiamo una speranza: nella sua croce siamo stati risanati e abbracciati affinché niente e nessuno ci separi dal suo amore redentore. In mezzo all’isolamento nel quale stiamo patendo la mancanza degli affetti e degli incontri, sperimentando la mancanza di tante cose, ascoltiamo ancora una volta l’annuncio che ci salva: è risorto e vive accanto a noi. Il Signore ci interpella dalla sua croce a ritrovare la vita che ci attende, a guardare verso coloro che ci reclamano, a rafforzare, riconoscere e incentivare la grazia che ci abita. Non spegniamo la fiammella smorta (cfr Is 42,3), che mai si ammala, e lasciamo che riaccenda la speranza.

Abbracciare la sua croce significa trovare il coraggio di abbracciare tutte le contrarietà del tempo presente, abbandonando per un momento il nostro affanno di onnipotenza e di possesso per dare spazio alla creatività che solo lo Spirito è capace di suscitare. Significa trovare il coraggio di aprire spazi dove tutti possano sentirsi chiamati e permettere nuove forme di ospitalità, di fraternità, di solidarietà. Nella sua croce siamo stati salvati per accogliere la speranza e lasciare che sia essa a rafforzare e sostenere tutte le misure e le strade possibili che ci possono aiutare a custodirci e custodire. Abbracciare il Signore per abbracciare la speranza: ecco la forza della fede, che libera dalla paura e dà speranza.

«Perché avete paura? Non avete ancora fede?». Cari fratelli e sorelle, da questo luogo, che racconta la fede rocciosa di Pietro, stasera vorrei affidarvi tutti al Signore, per l’intercessione della Madonna, salute del suo popolo, stella del mare in tempesta. Da questo colonnato che abbraccia Roma e il mondo scenda su di voi, come un abbraccio consolante, la benedizione di Dio. Signore, benedici il mondo, dona salute ai corpi e conforto ai cuori. Ci chiedi di non avere paura. Ma la nostra fede è debole e siamo timorosi. Però Tu, Signore, non lasciarci in balia della tempesta. Ripeti ancora: «Voi non abbiate paura» (Mt 28,5). E noi, insieme a Pietro, “gettiamo in Te ogni preoccupazione, perché Tu hai cura di noi” (cfr 1 Pt 5,7).

(Papa Francesco, Momento straordinario di preghiera in tempo di epidemia, 27 marzo 2020)

 

 

 

A un comando di Cristo viene la tranquillità

 

Vi parlo, con l’aiuto di Dio, della lettura appena terminata del santo evangelo, per esortarvi affinché non dorma la fede nei vostri cuori all’infuriare delle tempeste e dei marosi di questo mondo. Non sembrerebbe certo che Cristo Signore avesse la morte e il sonno in suo potere, se il sonno si impadronì dell’Onnipotente mentre era sulla barca in alto mare. Se credete questo, la fede dorme in voi: ma se in voi veglia Cristo, la vostra fede è desta. L’Apostolo dice: «Che il Cristo abiti per la fede nei vostri cuori» (Ef 3,17).

Dunque anche il sonno di Cristo è segno di un mistero. I naviganti sono le anime, che passano in questa vita come sopra una barca. Anche quella nave raffigura la Chiesa. Tutti certo sono tempio di Dio; ciascuno poi naviga nel suo cuore, e non naufraga se pensa a cose buone. È giunta al tuo orecchio un’ingiuria: è vento; sei adirato, è un maroso. Quando il vento soffia e i flutti si agitano è in pericolo la nave; è in pericolo il tuo cuore e va alla deriva. Desideri vendicarti dell’oltraggio udito: ed ecco ti vendichi e, cedendo al male altrui, hai fatto naufragio. Come mai? Perché Cristo dorme in te. E perché dorme in te? Ti sei dimenticato di lui. Sveglia dunque Cristo, ricordati di Cristo, vigili in te Cristo; pensa a lui. Che cosa volevi? Essere vendicato. Ti è accaduto questo, mentre egli quando veniva crocifisso disse: «Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno» (Lc 23,34).

Dormiva nel tuo cuore colui che non volle essere vendicato. Sveglialo, ricordati di lui. Il suo ricordo sia la sua parola: suo ricordo sia il suo comandamento. E se in te veglia Cristo, dì a te stesso: Che uomo sono io da voler essere vendicato? Chi sono io da permettermi di minacciare un altro? Forse morirò prima di vendicarmi. Ma quando col respiro affannoso, ardente d’ira e assetato di vendetta, uscirò dal corpo, non mi riceverà colui che non ha voluto vendicarsi, non mi accoglierà colui che disse: «Date e vi sarà dato, perdonate e vi sarà perdonato» (Lc 6,38-37). Dunque frenerò la mia ira e tornerò alla pace del mio cuore. Cristo ha comandato al mare ed è venuta la bonaccia. Prendete come norma, nelle vostre tentazioni, quel che ho detto dell’iracondia. La tentazione è sorta: è vento; se sei rimasto turbato, è maroso. Sveglia Cristo, ti parli: «Chi è costui al quale anche il vento e il mare obbediscono?» (Mc 4,41). Chi è costui al quale obbedisce il mare? «Suo è il mare, egli l’ha fatto» (Sal 94,5). Tutto è stato fatto da lui. Imita piuttosto i venti e il mare: sottomettiti al Creatore. Il mare ascolta l’ordine di Cristo e tu sei sordo? Il mare obbedisce e il vento cessa; e tu, ti gonfi?… Io dico, io faccio, io progetto: che cos’è tutto questo se non soffiare e non volerti calmare alla parola di Cristo? Nella perturbazione del vostro cuore non lasciatevi vincere dai flutti. Ma tuttavia, dato che siamo uomini, se il vento avrà smosso le passioni della nostra anima, non disperiamo: svegliamo Cristo per poter navigare nella bonaccia, e giungere alla patria.

(Sant’Agostino, Discorsi)

 

 

Vi fu una grande bonaccia

 

“Gesù salì in una barca”. Appena uno sale nella barca della penitenza, si solleva un gran turbamento nel mare. Il mare, è il nostro cuore. “Più fallace di ogni altra cosa è il cuore e difficilmente guaribile; chi lo può conoscere?” dice Geremia (17,8); “Potenti sono le voci delle acque” (Sal 92,4). La superbia le gonfia, l’ambizione le porta fuori dei loro argini, la tristezza le copre delle sue nuvole, i pensieri vani le intorpidiscono, la lussuria e la gola le fanno schiumare. Ora solo coloro che salgono nella barca della penitenza sentono questo movimento del mare, questa violenza del vento, questa agitazione delle onde. Coloro che rimangono a terra non si accorgono di nulla… Il diavolo, appena si sente disprezzato dal penitente, ne resta scandalizzato e solleva la tempesta; e soltanto “gridando e scuotendo fortemente”, se ne va (Mc 9,26).

“Allora Gesù sgridò il vento e il mare”. Disse Dio a Giobbe: “Chi ha chiuso tra due porte il mare?… E ho detto “fin qui giungerai e non oltre e qui s’infrangerà l’orgoglio delle tue onde” (38,8-11). Solo il Signore può chiudere tra due porte l’amarezza della persecuzione e della tentazione… Quando fa cessare la tentazione, dice: “Qui s’infrangerà l’orgoglio delle tue onde”. La tentazione cederà davanti alla misericordia di Gesù Cristo. Quando il diavolo ci tenta, dobbiamo dire, con tutta la devozione della nostra anima: “In nome di Gesù Cristo che ha ordinato ai venti e al mare, io ti ordino di allontanarti da me” (cfr At 16,18).

“E vi fu una grande bonaccia”. Questo leggiamo nel libro di Tobia: “Chiunque ti teme sa che, se la sua vita è stata messa alla prova, riceverà anche la corona; se è passato attraverso la tribolazione, otterrà la liberazione, se ha sperimentato la correzione, potrà conoscere la tua misericordia. Perché tu certo non sei contento che noi andiamo perduti, ma, dopo la burrasca, fai venire il sereno e dopo lacrime di pianto diffondi la gioia” (3,21-22 volg).

 

(Sant’Antonio di Padova, Discorsi per la domenica)